“Digitale” è la parola del 2016, ma oltre le parole quali sono i fatti, qual è lo stato dell’arte della digitalizzazione nel nostro paese? Avvilente.
Suona scontato dire che il digitale è parte fondamentale della nostra vita. Senza, non potremmo più comunicare, condividere, lavorare.
Insomma, grazie alla digitalizzazione si sono rivoluzionati i nostri stili di vita ma, purtroppo, quando dalla parola si passa alla pratica le cose non sono così scontate. Anzi.
L’Italia infatti occupa un avvilente quartultimo posto, prima solo di Grecia, Bulgaria e Romania, nella classifica DESI (Digital Economy Society Index) predisposta dalla comunità europea per misurare i progressi tecnologici dei 28 stati membri.
Considerando poi che l’economia Europea, rispetto a Stati Uniti e Cina, non è riuscita ad essere incisiva sui mercati con imprese tech votate al digitale, essere quartultimi degli ultimi suona ancora più allarmante.
La digitalizzazione, nonostante rappresenti una questione vitale, ormai un fatto di sopravvivenza in un mondo in tempestosa trasformazione, nella pratica non riesce a trovare il giusto spazio.
La buona notizia è che le tecnologie abilitanti sono disponibili e collaudate, ma la brutta notizia è che sono richieste determinazione e coraggio da parte di chi governa l’impresa.
Non è un facile compito, viste le resistenze interne, i limiti culturali e, soprattutto, di competenze digitali. Sempre secondo l’indice DESI, per il Capitale Umano siamo 24esimi: meno di un italiano su due ha le digital skill e, sull’uso di Internet e dei servizi digitali, siamo al 28esimo, l’ultimo posto!
Anche per uno studio condotto dal politecnico di Milano i principali ostacoli al cambiamento sono le inerzie culturali e la resistenza al cambiamento (critiche per il 67% delle imprese del panel, mentre i costi, ad esempio, sono l’ultimo dei problemi, risultando un ostacolo solo per il 17% del campione)
Quindi quali consigli ci sentiamo di dare a quel management che dovrebbe dare un impulso al cambiamento?
- Non trattare la trasformazione digitale come un tema squisitamente tecnologico. Gli IT manager non devono essere lasciati soli a governare questa trasformazione!
Le rivoluzioni si fanno con un chiaro obiettivo, guidati da capitani determinati e possibilmente coinvolgendo tutti quanti ne siano parte. È necessario ripensare al modo in cui si interagisce all’interno delle nostre organizzazioni e verso l’esterno con clienti, utenti, fornitori, collaboratori alla luce delle nuove abitudini e aspettative delle persone.
Per riprogettare così radicalmente le relazioni, serve il contributo di tutte le funzioni e un mandato forte.
- Non cedere alla tentazione di delegare a terzi o a intermediari pezzi dei nostri processi solo perché pensiamo così di liberarci di complessità tecnologiche. I processi devono essere governati dall’interno, si potranno delegare servizi o parti di processo solo per effettiva convenienza e sempre con consapevolezza. I vantaggi si raccolgono se la trasformazione la scegliamo; chiudendo gli occhi e delegando non facciamo altro che perdere il controllo dei nostri affari.
- La trasformazione digitale richiede di cambiare il punto di vista e portare al centro le persone coinvolte, il loro modo nuovo di interagire. È necessario abbandonare alcuni modelli consolidati e liberare l’immaginazione per poterne pensare di nuovi, più adatti alle aspettative, alle nuove abitudini e strumenti. È necessario quindi uno sforzo creativo supportato però da investimenti in analisi, prototipazione e studio per essere in grado di valutare e misurare la bontà di quanto immaginato prima di pianificarne la messa in produzione.
Ma oltre alla teoria e ai consigli, la nostra risposta pratica sono metodi di design delle procedure per guidare in modo produttivo e creativo team interfunzionali, sono servizi di consulenza per dirigere i tavoli di lavoro, sono competenze di progettazione per realizzare modelli e prototipi, sono conoscenza dei diversi domini applicativi sui cui la trasformazione digitale impatta.
In modo particolare per la digitalizzazione dei processi documentali e per la dematerializzazione dei flussi informativi business to business e business to government, la partita passa per gli strumenti di enterprise content management che devono possedere specifiche caratteristiche per essere efficaci nei nuovi scenari.
Il primo passo, naturale punto di partenza su cui impostare i primi ragionamenti, è senz’altro la gestione della fattura, grazie all’impulso normativo della fattura PA ma, forse meno evidente ma più consistente, grazie alla spinta propulsiva delle grandi organizzazioni che richiedono, o meglio impongono, ai loro fornitori un dialogo digitale.
Nelle misurazioni del politecnico di Milano, infatti, dei quasi 80 milioni di fatture in formato elettronico due terzi sono B2B e solo un terzo (circa 22 milioni) sono scambiate nei flussi B2G.
Interessante considerare che questi numeri, apparentemente grandi, rappresentano solo il 6% degli scambi di fatture, il 94% è ancora analogico ma gli argini che contengono la trasformazione si stanno indebolendo.
Se vogliamo essere ancora parte del mercato, è necessario digitalizzare